martedì 2 ottobre 2012

Lupogrigio andò al mercato e una triglia si comprò…

 Anche le triglie mentono,
se sanno di menta.

Chi frequenta i nostri mercati rionali lo sa, sfuggire alle grinfie dei mercanti è arte difficile, una disciplina che richiede palestra e training da primato. Loro, i mercivendoli, che siano di terra o di mare non differisce, sanno sempre come arrotndare all’insù le spigolosità della tua spesa, non solo, sono professori d’insistenza e docenti d’insolenza, capaci come sono di farti sentire pezzente se non riempi le tue sporte sino a scoppiare delle loro “prelibatezze”. Avvicinare i loro banchi equivale ad un incontro di judo, devi schivare i colpi restando in piedi provando a schienare l’avversario, allontanandotene rapido prima di beccati un altro colpo, magari basso.
In questo scenario da lotta all’ultimo sangue mi sono tuffato un sabato di questi, che di prefestivo l’euforia  da mercato sale, di qua e di là dai banchi. Una vera e propria epopea cavalleresco-mercantile. Il mio intento, illuso e meschino, era di uscirmene vivo con una sola vaschettina di cozze sgusciate per un tranquillo spaghetto marinaro. Illuso, l’ho detto! E complice, già, perché pur avvistati i mitili, ho tirato diritto verso altre prelibatezze che la stagione prolungata, generosa offre a chi ne sa e vuole approfittare. E così, dopo un doppio slalom tra carrozzini, carrelli, bustoni e posapiano, poso l’occhio su una montagna di triglioline rosate che esondano il pur grande banco che cerca di contenerle. Volevo cozze e trovo triglie, in più il prezzo richiesto era a dir poco magico: con soli due euri (meno di quattromila di vecchie monete) ti portavi a casa un chilo di pescioletti grandi non più di un dito, una squisitezza senza pari, la cui freschezza, qualora ne dubitassi, è subito certificata da un passante che senza pensarci ne afferra un paio e le fa sparire in bocca socchiudendo gli occhi. E io che aspetto?!... mi avvicino e penso di chiederne mezzo chilo che per i miei invitati, io e mi figlia, sono più che abbondante porzione. Ma la palestra di cui prima, l’allenamento e anche un po’ di golosità mi hanno fatto pronunciare:”un chilo.”, mentre il pescivendolo già aveva, con le sue manone spugnose, svalangato nella bustina quantità soverchie di trigliozze. “Un chilo?” mi intima, quasi ad impallinarmi col suo rimprovero, e a rincarare la dose a me mentecatto incalza: ”facìm du chil!” (trad. acquistane almeno due di chili di questo meraviglioso pesce che di meglio non trovi…” Io zitto rimugino che 2+2 fa 4 e quello da me sicuramente vuole tutti e 5 gli euro di carta che io posseggo, così pensando rispondo con un sorriso da campione del mondo di ipocrisia: ”ma no, sono solo per me, quindi bastano.” L’ago della bilancia supera di poco i mille grammi (il “buon peso” è una delle tecniche blanditorie più diffuse e moleste su queste bilance, la cui precisione è tutta da provare, ma fa parte del copione e the show must go on). Lui ora chiude la busta, intasca il corrispettivo e mi porge il pesce. Fiiuuu! Ce l’ho fatta! Oggi frittura di agostinelle tardive oltre agli spaghetti con le cozze che compro poco più in la dove le avevo sbirciate prima e dove le trovo però più care del previsto. Ma il bello è la schermaglia verbale che il venditore accende quando gli chiedo conto del perché del sovrapprezzo, allorché tenta di convincermi che quella misera vaschetta oggi e solo oggi contiene una quantità di mitili sgusciati quasi doppia del solito. Come dire che mi spiegava il miracolo della cozza per cui nel contenitore solido e sigillato si sono materializzati magicamente tanti frutti di mare che non ci posso credere. E io non ci credo, ma pago e me ne vado che ora ho fretta.
Tutto questo per dire che per quanto squisiti e irresistibili fossero i pescetti, decapati, infarinati, fritti, salati e mangiati bollenti con tutte le lische (“scorz e tutt per noi baresani) non siamo, in due, riusciti a finire la porzione, e da qui parte la ricetta.
La sovrabbondanza alimentare, come ho imparato da mia madre e mia nonna, non và mai cestinata, c’è sempre una seconda vita possibile che spesso è più gustosa della prima originaria, ancorché inattesa. Così per le fritture di mare che tanto ottime sono ustionanti d’olio quanto saporite rinascono da fredde, appena marinate e magari aromatizzate. Fanno impallidire anti e post pasti ben più ricercati.
Così le ho limonate abbondantemente e altrettanto cospicuamente cosparse di coriandolini di menta appena spiccata dal vaso sul balcone, con le mani e senza metalli aggiunti. Il verde della menta in frantumi s’inframmischia al rosa ora dorato della frittura, come un pois psichedelico e rilascia un profumo mentoso che attorciglia l’asprigno del limone in una danza olfatto-gustativa irresistibile. Ma non mi lascio sedurre, ora. Ripongo tutto nel frigorifero che con la sua algida accoglienza rende il tutto inenarrabile, ma da provare assolutamente. Così ho fatto io il giorno dopo e quello appresso pure, che più sta meglio è. E spruzzando altra micromenta sopra, la triglia ha mentito come solo lei sa fare. E buon appetito.

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