martedì 25 settembre 2012

cous cous

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In occasione del III° COU COUS FEST tenutosi il 23 settembre scorso nella tana di Orso Guercio e Luna Secca, Lupogrgio ha partecipato con una ricetta fatta di parole. Il suo sapore si acoltava e non si ingoiava.
Provate anche voi.


Cous cous


Cous cous, cuscus. Mi piaci. Mi piace il suono che hai, il sapore buono della baresità nella quale mi riconosco. cuscus, questoquesto. Mi piace il tuo colore d’oro e sole. Sapore di calore d’estate di sud. E anche qui mi sento a casa. Mi piace il tuo profumo ricco di spezie evocanti. Viatico verso orienti sconosciuti, a me, ma desiderati. E così m’immagino di cavalcare il tappeto volante dei minuscoli tuoi grani profumanti, verso Marrachesh o Casablanca o Il Cairo o… Mi piace il tuo sapore, neutro e accogliente, materno. Una madre perlinata e dorata che accoglie una prole di sapori ai quali restituisce gusto e sentore. Uno per uno. Una per tutti. Mi piacciono le tue confezioni ammiccanti dagli scaffali di vendita delle nostre urbe occidentali. Come delle cartoline souvenir di paesi esotici. In genere semplici, naif, ma proprio per questo ancor più accattivanti, ammalianti, invitanti. Quando ti raccolgo dalle schiere militarmente ordinate di moderni scaffali è come se mi portassi a casa quel pezzo di Asia minore o di Maghreb che riesco a sognare. O, per meglio raccontare, è come se tu mi prendessi per mano per accompagnarmi lì da dove sei arrivato. E se poi leggo sulla scatola che sei di Francia o d’Italia non importa, è l’evocazione che mangerò, non la materia.
Come tutte le cose di valore, quello vero, sei maiuscolo nel tuo essere minuscolo. Un frammento di Storie, di Culture, di Passioni, che apre il portone dei loro universi a chi ci vuole entrare. In ogni tua minuta perlina riverbera tutto l’universo che ti appartiene. E mi piace pensare che “mi” appartiene. Mi affascina immaginare le migliaia di migliaia di mani che ti hanno accarezzato, incucciato, sgranato come un rosario laico e prosaico. Ecco cosa sei, una preghiera da masticare, una orazione da ingoiare, una invocazione da digerire. Le mani dicevo, mani di donna carnose e morbide, ma anche nervose e callose, ma buone, capaci, come solo certe donne sanno essere. Quelle che se un uomo l’incontra non dimentica. La donna e il cous cous. Nel mio profano e occasionale incontro con la tua granosità c’è forse il desiderio di accarezzarle quelle mani, ma questo è altro discorso fatto di desideri e appetiti intimi, e ognuno ha i suoi.
E poi suoni, le tue scatole di cartone per lo più grezzo, vibrano come come maracas saporite, a scandire un ritmo lento e suadente e sudante. Un ritmo di cos cous. Lento come la tua preparazione, quella vera, naturale, natale, non quella precotta, globalizzata, occidentalizzata, snaturata. Perché il Tempo è ingrediente curciale per te, il tuo sapore, il tuo profumo. Come tutte le cose buone, ancora di più quelle buone che dischiudono labbra affamate, lo scorrere naturale del tempo racchiude un valore insostituibile. E tu hai, meglio, vuoi il tuo tempo, fatto di cura, attenzione, concentrazione, passione che solo se donata sarà restituita. Ma questo chiunque abbia avuto a che fare con l’Amore lo sa. Con le pentole e i loro calori, cogli ingredienti e le loro morbidezze. Come una madre col figlio. Un’amante con la compagna. Maradona con il pallone.
E non siamo ancora arrivati alla tavola, siamo ancora al petting preliminare, che però già pregusta l’amplesso dei sapori che ne discende. È qui si gode.
Portare alle labbra e poi accarezzare col palato, mordicchiare coi denti, lasciare penetrare l’esofago e colmare lo stomaco del tuo gusto buono, ricco, molteplice, morbido e delicato è un atto di puro piacere. Credo, anche se io non ne sono capace, che rispetto vorrebbe che ti fosse dedicato tempo altrettanto lento alla degustazione quanto quello occorrente alla preparazione e non che finissi trangugiato come puro riempibocca. È la differenza che passa tra una notte d’amore e una sveltina meretricia. Ma nonostante me lo dica e me ne accorga, a tavola continuo a fare sveltine sognando notti di passione, malato come sono di gastrimarchia. Ma questo è uno tra i tanti miei limiti.
Ritorno a te cous cous, che ora sei in tavola, fumante, odorante, colorante. Ti guardo e sogno i tuoi orizzonti, l’ombra delle tue palme, la carezza tiepida dei tuoi scirocchi e con questo immaginare avvicino le mie labbra ai tuoi grani oramai gonfi di liquidi amorevolmente curati, mi lascio prendere dai tuoi racconti. Ora mi parli di terre arse dal sole coi suoi frutti sapidi e colorati, e poi cambia il paesaggio e il tuo amalgama odora e sapora di mari, vicini e lontani, di salsedine e salmastre avventure. Ancora eccoti addolcito dalle insistenze zuccherine degli acini appassiti a solleoni sudosi, inframmezzati da sgranocchie essiccate.
Un arcobaleno, una deflagrazione di sapori che solo tu sai contenere e restituire con tanto amore e gentilezza e al tempo stesso con risolutezza. Mosaico di odori che, come vetrate gotiche, rifrangono vibrazioni multicolori attivando il segnale d’estasi al cervello. Questo sei tu cous cous per me. Per questo ti cerco, ti preparo, ti accudisco, come posso, senza vanaglorie o ambizioni, soddisfatto anche solo dal saperti con me, nella mia dispensa reale e dell’anima, per nutrirmi, ogni volta che ne ho desiderio, della tua infinita minuscolità. Mi piaci.

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