venerdì 30 marzo 2012

Riso di luna
Tornando a casa ho alzato lo sguardo e… 

Tra Venere e Giove, amanti astrali e astrusi, s’insinua stasera il riso beffardo di luna ruffiana, non di sguaio si tratta, ma di leggero, algido e pur palese sorriso. Una amaca di luce dondolante in un blu che più nero non si può, di traverso a interrompere la traiettoria rettilieare di sguardi che i due disegnano. Lei in alto sontuosa, iridescente, ammiccante, fa mostra di sé attirando sguardi concupiscenti che la distanza ingrassa, lui sommesso, messo sotto, si gode lo spettacolo della sua bella senza però mai neanche provandosi a sfiorarla. Che, nonostante la dominanza di genere e stirpe, gli tocca il gradino più basso nel nostro guardo terrigno. Però c’è. Il suo esserci fa da eco di luce alla bellezza venusiana di Lei. Ti accorgi di Lui dopo che l’occhio carambola sulla sponda scintillante di Lei. Di questa tresca siderale s’è fatta testimone la bianca Selene che, con la sua espressione di queste notti, ci restituisce, esaltato, il piacere di un incontro d’amore pudico e appassionato. E questo suo riso di luce danza intorno ai due imperterriti, immobili sullo sfondo dello scuro infinito, e cresce al ritmo del suo ciclo. Si fa sempre più impudico, era smorfia appena impercettibile all’annuncio, diviene sempre più sfacciato e sfottente mano a mano che la sua fredda superficie allarga lo specchio alla luce solare. E così i due innamorati si lasciano girotondare dalla sua gioiosa presenza, si beano del suo sguardo intuibile ma non visibile e al riparo di altri occhi inopportuni si scambiano tenerezze prive di gravità.
I tre in cielo sono bellissimi, unici, isolati dal resto dell’universo stellato, tutti presi da questo minuetto d’amour di cui pare sentire il suono dolce e suadente. E che verrebbe di danzar con loro, ma ognuno qui sulla Terra danza con chi può, se può, anche con se stesso.
Così se ne vanno i miei pensieri di queste sere, da quando ho scoperto, occhieggiati e spiati i due fidanzastri per cogliere la pur minima mossa d’acchitto, ma nulla. Loro sì che sanno essere fedeli e non ad un altro essere bensì a se stessi, al loro Stare perché giusto, naturale e bello nella sua eccezionale normalità.
Mi viene da pensare a quante mosse sbagliate compiamo, compio, cercando giustezze, equilibri e sanità, senza, quasi, mai accorgermi dell’inutilità di tanto dimenarsi, della bellezza dell’immobilità naturale e non ottusa. Li guardo, Venere e Giove, desiderando d’essere altrove, ricascando nell’inganno d’allontanarmi dal me stesso che solo m’appartiene con cui fare i conti istante per istante. E allora li ri-guardo, Venere e Giove, accettando d’essere dove sono, come sono, e accettando tutte le Venere e i Giove che mi circondano, ringraziando per la luce che sono capaci di donarmi e che, se posso come posso, riesco a diffondere. E anche stasera alzerò gli occhi verso di loro e pure di lei, Luna Ridens e mi metterò in ascolto dei loro bisbigli e dei suoi risolini.

HAUG

4 commenti:

  1. Allarme dell'artista

    Ho mal di denti e mi duole la vista;
    Dio mio, marcisco sul mio piede come un cactus;
    e spino, spino, il cane che mi viene
    vicino, si muove a zampe in su, allarmato.
    Gioco
    col mio male; l'infernale malessere
    cittadino è oltre il baratro delle persiane.
    Sale qui in tessere di gas, polvere e buccia
    di strade.
    Io sto male in pace.

    Ma quassù, non crediate, c'è il cane che si lamenta,
    il pelo gli cresce, il tempo
    pone la sua palla di pietra
    come uno sparo a un centimetro da me.
    E' un dolore cortese, di carta, Inattivo,
    il tempo si lascia la barba
    giovane e, oscenamente, rizza le gambe.
    Io scrivo cose che nessuno
    sente, oltre me.

    Cristina Annino

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  2. Allarme dell'artista

    Ho mal di denti e mi duole la vista;
    Dio mio, marcisco sul mio piede come un cactus;
    e spino, spino, il cane che mi viene
    vicino, si muove a zampe in su, allarmato.
    Gioco
    col mio male; l'infernale malessere
    cittadino è oltre il baratro delle persiane.
    Sale qui in tessere di gas, polvere e buccia
    di strade.
    Io sto male in pace.

    Ma quassù, non crediate, c'è il cane che si lamenta,
    il pelo gli cresce, il tempo
    pone la sua palla di pietra
    come uno sparo a un centimetro da me.
    E' un dolore cortese, di carta. Inattivo,
    il tempo si lascia la barba
    giovane e, oscenamente, rizza le gambe.
    Io scrivo cose che nessuno
    sente, oltre me.

    Cristina Annino

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