PENSIERI LIEVI
IN PUNTA DI MATITA
In
punta di matita
Nella
punta di una matita ci sono tante cose. Le ho viste chiaramente l’altra mattina
mentre corricchiando ne ho incrociata una per terra sull’asfalto, abbandonata.
Quel legnetto appuntito, che tante volte ho tenuto tra le dita, mi ha aperto
una finestra nella mente dalla quale ha iniziato a circolare una bella brezza
creativa. Il pensiero è così volato leggermente a tutti i possibili disegni che
quello strumento leggero poteva esprimere, invece di giacere lì senza vita.
Sentendomi guardato da lei per terra ho capito che ogni matita ha una vita
propria. Che l’anima grafitica di quello stilo legnoso contiene già tutti i
disegni che poi lascia uscire. E non solo disegni, tratti di grafite continui e
sinuosi che cercano di esprimere immagini, pensieri, sogni, desideri. Ma anche
le parole, quelle sussurrate, che il grigio della matita raccontano.
Immagino
che in ogni matita siano contenute già tutte queste cose, e che la mano che le
guida in realtà sia da essa guidata. Immagino un rovesciamento della nostra
visione antropocentrica. Credo che anche quella matita persa per terra
contenesse disegni e parole possibili. Solo che nessuno le potrà liberare. È
come se quella e le altre sue sorelle abbiano un’anima simile, se non
superiore, alla nostra, capace di emozionarsi, di immaginare, di parlare.
Dobbiamo avere rispetto per tanta vita. Dobbiamo provare a non pensarci unici
fattori della nostra realtà, ma provare a spostarci dal centro dell’universo e
vivere le sue periferie. Luoghi magici dove anche la grafite fredda e inerte di
una matita può contenere linfa vitale indispensabile alla nostra, di vita.
Immaginate
quanti rebus e quante parole crociate ha nella sua memoria. Perché la matita,
con il suo segno cancellabile, è l’arma preferita degli enigmisti. È strumento
che supporta il dubbio, conforta l’errore e concede sbagli. Per questo è
preferita, se poi indossa il cappellino di gomma auto censorio è il massimo.
Bisognerebbe, quando in preda allo sconforto si abbandona anche l’ultima
speranza di colmare il Bartezzaghi, riuscire a leggere nel codice grigio e
freddo della matita che impugniamo per trovarci la risoluzione. Bisognerebbe,
quando mettiamo in colonna cifre incerte per capire come e dove abbiamo
disperso i nostri euri, essere in grado di scorgere nella sua anima minerale la
risoluzione alle nostre scarse economie. Per non parlare poi del suo utilizzo
principe: il disegno. Amore per alcuni, odio per molti, perché non è mai come
lo si vorrebbe. Provate a mettervi di fronte ad un foglio bianco con la matita
in mano e subito sentirete quel gelo che ghiaccia ogni muscolo dell’arto e che
congela ogni residua sinapsi. Eppure lei, la matita sa. Conosce il percorso
verso il capolavoro, ma anche solo verso l’onesto e piacevole disegnino che ci
aspetteremmo. Ma se non siamo capaci di lasciarla andare la matita non ci
porta. Lei non guida chi oppone resistenza, non suggerisce a chi non l’ascolta,
anzi si imbizzarrisce, s’impenna o s’impunta fermando ogni tentativo e
lasciando il foglio drammaticamente bianco o, peggio, inesorabilmente sporco d’un
grigio incomprensibile ed anonimo. Vero è che anche un foglio bianco ne
contiene di cose, ah! se le contiene.
Io
la preferisco. Mi piace proprio la sua incertezza morbida e cancellabile, il
suo segno indefinito, la sua traccia evanescente che lascia sempre spazio anche
ad altro. Per questo credo che lei abbia una sua vita. Ci sono quelle belle
eleganti, preziose e ci sono quelle semplici, anche banali. Ci sono quelle
lunghe e slanciate, appuntite ed impettite, poi ci sono i mozziconi, spuntati o
addirittura a doppia punta, giani di grafite pronti a segni in avanti e tracce
all’indietro. Ma in tutte, proprio in tutte, penso ci sia il segreto della
risposta. Sia essa un quindici verticale, che la radice cubica alla terza,
tanto la forma precisa di un pupilla, quanto la posizione giusta della finestra
sul prospetto o la forma più armoniosa di un seno nudo.
E
allora la rivedo lì, la mia matita persa, quella che ho lasciato per terra
senza raccogliere tutti i segreti che aveva nell’anima, imbecillemente preso
dal mio sapere incapace di ascoltare quello che mi voleva dire.
Sono
tornato, ma non c’era più. O qualcuno più sensibile di me ha approfittato dell’occasione
portandosela a casa o il peso crudele d’un copertone in corsa ha ridotto in
polvere la sua punta aguzza e sapiente, e con lei tutto il suo sapere.