è primavera.
“È primavera”. Un sussurro leggero, proprio come le
prime folate marzoline, mi arrivava ogni volta che uscivo dal portone. Dapprima
non capivo da dove provenisse e poi, guardando in là verso sud l’ho visto.
Bianco, bianchissimo e leggero, su un fondale verde intenso. È l’albero di
mandorlo che si intravvede oltre il muretto che chiude la strada. Il verde
dello sfondo sono gli alberi di pino che ornano gli spartitraffico di un’altra
strada. Il solito perpendicolo di asfalti che segnano i nostri passi urbani.
Eppure in tanto grigio petroleoso spiccava lui. Immacolato, baldanzoso e
allegro. Il suo candore è il segnale, per me cittadino, della magia che la
nuova stagione porta con sé. Direi che i primi sensi che percepiscono il cambio
di stagione sono il tatto per l’effetto dei venticelli sulla pelle e l’olfatto
per il profumo che lei porta con sé. Ma quando mi arriva alla vista, quando
anche dagli occhi i segnali raggiungono il mio cervello allora il cerchio si
chiude, l’incantesimo scocca. E così è con il mandorlo resistente. Già perché
tra asfalto, terra così battuta che ben poco conserva della naturale morbidezza
e cemento, vederlo ancora lì è un gran bel segnale. Me lo ricordo quando il mio
Milo mi portava a spasso per quei percorsi e mi obbligava all’incontro
rivelatore. Ora Milo non c’è più e il percorso non lo pratico, ma lui,
l’albero, mi vede e io vedo lui. E ieri gli sono andato incontro. Mi sono
fermato sotto la sua chioma incandescente di bianco, appena mossa dal vento da
parere viva. Ma poi è viva! Intorno e su di lui una danza meravigliosa di api
nella loro giostra pollinofora. Grigio il tronco, bianchi i petali, azzurro il
cielo. Acquerello di primavera in linfa e materia. L’incanto provocato dalla
visione mi ha spostato in un’altra dimensione, una bolla spazio temporale al
ritmo lentissimo della natura. Immagino che dovessi parere almeno strano lì
sotto imbambolato nel mezzo di una città al margine di una strada a faccia in
su. Ogni tanto ho avvicinato il naso per ascoltare il profumo dei fiori, l’odore
della primavera. Che bello! Le api leggiadre (ho capito finalmente il
significato vero di questo aggettivo) danzavano da una corolla all’altra. Mi
pareva di essere con loro in groppa alle loro morbide spallucce, alla ricerca
del profumo più profumato e del colore più colorato. Alcune riflessioni le ho
fatte dopo, quando ho salpato le ancore da questo porto di beatitudine
inaspettata a cui ero approdato. Mentre ero là, ero là e basta. L’ho percepito
quando mi sono smosso dall’incantesimo. Ma prima ho seguito l’impulso e l’ho
abbracciato. Ho stretto il tronco rugoso e graffioso, l’ho tenuto così per un
po’. Ho anche poggiato la guancia sulla sua pelle così materica e concreta. E
se prima dovevo parere strambo, mò certamente sembravo pazzo. Beato me. Alzavo
gli occhi e vedevo tremolare i petali scossi appena dal venticello di questo
principio di marzo, annuncio di primavera. Mi sono distaccato, ho continuato a
guardarlo mentre sentivo tutta la leggerezza del momento pervadermi e ho visto
un petalo volare via. Invece no. Era una farfallina, da una foglia al fiore.