BIANCO MARE
Vi porto con me in questo breve e intenso viaggio, tra natura, ricordo, colore.
Se c’è un’immagine che mi porto addosso in questa stagione
di fioriture esteriori ed interiori è la distesa di ciliegi in fiori lungo il
nastro d’asfalto che collega Casamassima a Turi, patria della rossa drupa. Il
mio occhio si perde, portandosi appresso anima e cuore, in questo oceano
fulgido di biancore. L’incanto dura poco, giusto il tempo breve in cui la terra
preme colla sua linfa i tronchi annunciando la prossima maturazione, con questo
splendido, impalpabile segno di amore verso il cielo che se lo aspetta. L’ho
imparato percorrendola tante e tante volte, da adulto autista, autistico,
inattento e altrettante, ma forse la saudade del ricordo ne amplifica qualità e
quantità, come spettatore del film “padre e figlio” che recitavamo con mio padre
Nicolino verso il trullino di Cisternino. E oggi non posso fare a meno di
rivedermi adolescente inquieto al fianco del genitore conducente reale e
metaforico in un viaggio che ci annodava nei pensieri. Loro, i ciliegi, coi
petali immacolati saranno nel tempo mutati, questa è zona di coltura intensiva,
poco a che vedere con le distese nipponiche dove il ciliegio in fiore è lo
spettacolo più importante e ammirato dell’intera stagione, altro che cinema e
tv. Qui no, gli alberi allungano le loro radici nella terra solo fino a quando
sono in grado di ripagare con interessi centuplicati, gli sforzi meccanici ed
economici di ex contadini e oggi più che mai commercianti, che fa sempre rima
con furfanti. Eppure per me sono gli stessi, quelli che salutavano il nostro
passaggio allora, quasi che ci fossimo solo noi, mentre mio padre me li
mostrava contento, ripetendo, come un mantra laico e naturale, frasi e
spiegazioni che io oggi, padre, recito a mia figlia e a chiunque mi accompagni
in questo viaggio dell’anima. Questo bianco mi riscalda il cuore, mi carezza
parti intime che spesso non riescono a farsi toccare. C’è la natura con la sua
forza fragile, c’è il ricordo col suo impeto struggente, c’è il colore con la
sua invadenza abbagliante. Mi sogno nudo a nuoto in questo mare, bracciata dopo
bracciata tra petali e boccioli, mentre prendo il largo dalla terraferma della
gravità, fisica e simbolica, verso il mare aperto dell’innocenza libera e
liberatrice. Nuoto, nuoto, a volte mi immergo e poi risalgo con in bocca qualche
petalo che non sputo via, ma che ingoio leggero per farmi penetrare sin
nell’intimo dalla sua magia purificatrice.
Poi apro gli occhi e mi ritrovo col volante in mano e il
sole negli occhi, rimetto i piedi nelle scarpe e ringrazio il bianco mare che come
detonatore onirico, accende esplosioni d’emozioni. E ringrazio anche papà
Nicolino.
HAUG!
... o meglio "Nicolino Papà" come amava farsi chiamare fissando il ricordo di nostre infantili e perciò involontarie licenze poetiche che lo divertivano tanto.
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