venerdì 6 aprile 2012

BIANCO MARE
Vi porto con me in questo breve e intenso viaggio, tra natura, ricordo, colore.

 
Se c’è un’immagine che mi porto addosso in questa stagione di fioriture esteriori ed interiori è la distesa di ciliegi in fiori lungo il nastro d’asfalto che collega Casamassima a Turi, patria della rossa drupa. Il mio occhio si perde, portandosi appresso anima e cuore, in questo oceano fulgido di biancore. L’incanto dura poco, giusto il tempo breve in cui la terra preme colla sua linfa i tronchi annunciando la prossima maturazione, con questo splendido, impalpabile segno di amore verso il cielo che se lo aspetta. L’ho imparato percorrendola tante e tante volte, da adulto autista, autistico, inattento e altrettante, ma forse la saudade del ricordo ne amplifica qualità e quantità, come spettatore del film “padre e figlio” che recitavamo con mio padre Nicolino verso il trullino di Cisternino. E oggi non posso fare a meno di rivedermi adolescente inquieto al fianco del genitore conducente reale e metaforico in un viaggio che ci annodava nei pensieri. Loro, i ciliegi, coi petali immacolati saranno nel tempo mutati, questa è zona di coltura intensiva, poco a che vedere con le distese nipponiche dove il ciliegio in fiore è lo spettacolo più importante e ammirato dell’intera stagione, altro che cinema e tv. Qui no, gli alberi allungano le loro radici nella terra solo fino a quando sono in grado di ripagare con interessi centuplicati, gli sforzi meccanici ed economici di ex contadini e oggi più che mai commercianti, che fa sempre rima con furfanti. Eppure per me sono gli stessi, quelli che salutavano il nostro passaggio allora, quasi che ci fossimo solo noi, mentre mio padre me li mostrava contento, ripetendo, come un mantra laico e naturale, frasi e spiegazioni che io oggi, padre, recito a mia figlia e a chiunque mi accompagni in questo viaggio dell’anima. Questo bianco mi riscalda il cuore, mi carezza parti intime che spesso non riescono a farsi toccare. C’è la natura con la sua forza fragile, c’è il ricordo col suo impeto struggente, c’è il colore con la sua invadenza abbagliante. Mi sogno nudo a nuoto in questo mare, bracciata dopo bracciata tra petali e boccioli, mentre prendo il largo dalla terraferma della gravità, fisica e simbolica, verso il mare aperto dell’innocenza libera e liberatrice. Nuoto, nuoto, a volte mi immergo e poi risalgo con in bocca qualche petalo che non sputo via, ma che ingoio leggero per farmi penetrare sin nell’intimo dalla sua magia purificatrice.
Poi apro gli occhi e mi ritrovo col volante in mano e il sole negli occhi, rimetto i piedi nelle scarpe e ringrazio il bianco mare che come detonatore onirico, accende esplosioni d’emozioni. E ringrazio anche papà Nicolino. 
HAUG!

1 commento:

  1. ... o meglio "Nicolino Papà" come amava farsi chiamare fissando il ricordo di nostre infantili e perciò involontarie licenze poetiche che lo divertivano tanto.

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